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IP5 - L'ISOLA DEI PACHIDERMI
(IP5 L'ÎLE AUX PACHYDERMES)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 15 settembre 1992
 
di Jean-Jacques Beineix, con Yves Montand, Olivier Martinez, Sekkou Sall (Francia, 1991)

IP significa Isola dei Pachidermi . Che sarebbero degli alberi particolarmente immensi e significativi, ricercati da un Yves Montand vecchio saggio-guaritore-ecologo. Per ragioni filosofico-esistenziali: ma anche, assai più prosaicamente, per guarire da un'antica delusione d'amore. Così va il mondo: e così va, soprattutto, il cinema di Beineix.

Che, difatti, ha aggiunto un 5 al suo titolo: il che vuol semplicemente dire che questo è il suo quinto film. Il nostro, l'avrete compreso, non è mai stato qualcuno in credito con l'ambizione, vuoi la presunzione. Il che non è necessariamente un male: Carax e Besson, gli altri due bambini prodigio (si fa per dire, Beineix, tra una faccenda e l'altra, ha 46 anni...) con delle prerogative del genere hanno pur sempre firmato un capolavoro mancato (LES AMANTS DU PONT-NEUF) ed il più grosso successo commerciale del cinema francese (IL GRANDE BLU). Fatto sta che, dai tempi della sua scoperta (eh si) a Locarno con il brillantissimo DIVA, da lui si attende eternamente l'opera compiuta: gli è andato vicino una sola volta, con il fremente BETTY BLUE .

Qui recidiva: una storia che è una sovrapposizione di storie e situazioni, di personaggi ed atmosfere, d'intenzioni e di bersagli. Un negretto Jockey che biascica insopportabilmente rap e che s'accompagna ad un Tony bianco che graffita i muti con le bombolette spray. La bella infermiera che non ne suol sapere della sua corte, ma che si sa come vanno a finire queste cose. Una manciata di personaggi secondari da bersagliare con una satira non proprio inedita: più o meno quei borghesi del profondo della Francia, che Chabrol già dileggiava quando Beineix andava ancora a scuola.

E, naturalmente, Yves Montand: che - certo alla sua insaputa, ma ci sarà qualcuno pronto a giurare il contrario - si fa filmare in diretta, mentre abbandona per sempre il suo glorioso piedistallo della nostra memoria cinematografica. Inutile negarlo: è proprio questa morte drammaticamente annunciata, di un attore che interpreta le proprie crisi cardiache fino a quella fatale, fino ad esserne effettivamente vittima negli ultimi giorni delle riprese, la nota più impressionante e commovente di JP 5. Montand, il corpo stanco e nudo che fa il bagno nello stagno di un autunno che indoviniamo livido, è il solo protagonista vero del film.

Quello falso è il personaggio: che appoggia la fronte alle cortecce degli alberi per carpire il segreto del saggio equilibrio naturale. Perché no? Ma ci sarebbe voluto un Boorman, con la raffinata sensibilità di DELIVERANCE o EXCALIBUR nel legare i destini degli uomini a quelli dell'ambiente che li contiene, per reggere il tutto. Ci sarebbe voluta, oltre alla fede, quella che Beineix non riuscirà mai ad avere, la sintesi, la semplicità ed il buon senso. Senza la pretesa di essere alla moda filmando aria possibilmente rifritta dei cosiddetti tempi; più panoramiche ecolo-poetiche su cime d'alberi e stagni diafani alla nutella; più melodrammi sentimentali con riferimenti mitologici a ninfe erranti negli anni trenta, autogrill da camionisti e antiche taverne da cameriere con tovagliolo sotto il braccio e letti soffici.


   Il film in Internet (Google)

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